C ARBONERA

E IL SUO

TERRITORIO:

Indagine Storico Geografico e Artistica

di

T AFF ARELLO TIZIA NO

Materiale corretto e riordinato da

Gianni Morandin e Alessandro Pedrina

A CURA DELLA

BIBLIOTECA COMUNALE DI CARBONERA

ANNO 1999


IL COMUNE DI CARBONERA

ASPETTO GEOGRAFICO E CLIMATICO

Carbonera é il primo comune a nord-est di Treviso. Confina con i comuni di Treviso, Villorba, Spresiano, Maserada, Breda di Piave e San Biagio di Callalta. Il comune di Carbonera comprende le seguenti frazioni: Mignagola, Pezzan, San Giacomo di Musestrelle e Vascon. Il suo territorio, dalla forma geometrica irregolare, misura K.mq. 19.784 ed é collocato in quella fascia nord-orientale della provincià di Treviso compresa tra i fiumi Sile e Piave. Il sottosuolo é costituito prevalentemente da banchi di ghiaia e di misto alluvionale, provenienti dalle periodiche alluvioni del fiume Piave. Questo ha avuto e tuttora avrebbe carattere torrentizio. Le alluvioni antiche e quelle più recenti, con i loro trasporti, diedero dunque origine allo strato di ghiaia e misto su cui si fonda Carbonera; inoltre le alluvioni più recenti concorsero a formare lo strato superficiale agrario di medio impasto di natura misto-argillosa sabbiosa. Il materasso ghiaioso, di grande potenza e permeabilità, é interessato da numerose falde acquifere artesiane aventi in genere ottimi requisiti di potabilità dalle quali la popolazionè del comune trae l'acqua necessaria agli usi civili e industriali. La giacitura del terreno del comune di Carbonera é essenzialmente pianeggiante con differenze di quota, da zona a zona, relativamente piccole. Oltre che dalla rete dei piccoli corsi d'acqua il comune di Carbonera é tagliato, lungo i confini delle proprietà o in corrispondenza dei limiti di coltura, da fossi di raccolta delle acque piovane. Il terreno é completamente coltivato ed é suddiviso in proprietà o zone di coltura per lo più di modeste entità. La natura del terreno e la presenza di acqua assicurano la riuscita a molte colture, oltre a favorire la crescita di piante di alto fusto lungo i fossati e i corsi d'acqua. Il comune di Carbonera é percorso dai fiumi Melma, Piovensan, Rul, Mignagola, Nerbon, Pulise, Rio Bagnon, Musestre, Musestrelle, Rivo le Fontane, Rivo Ghirada, Rivo e Scolo la Peschiera. I percorsi di questi principali fiumi sono brevi e tranquilli, senza sobbalzi vorticosi e nascosti da un'irrompente vegetazione di vario tipo. Le loro acque sono limpide, però, quando piove, aumentano e divengono melmose. Molte volte emergono a fior d'acqua chiazze di una vegetazione tipicamente acquea. Per quanto riguarda il clima, il territorio di Carbonera presenta le caratteristiche tipiche della zona nord-orientale della pianura Padana con lievi differenze dovute alla relativa vicinanza del mare Adriatico. L'andamento del clima non si discosta da quello medio-temperato, tuttavia ci sono alcune notazioni particolari: notevole umidità per quanto riguarda l'autunno e l'inverno e la presenza di banchi di nebbia.

LE STRADE ROMANE NEL TERRITORIO DI CARBONERA

E' curioso ed interessante far notare che la linea di fondo dello stemma del nostro Comune ricorda la grande "via Claudia Augusta Altinate" tracciata da Altino al Danubio e che attraversava nei tempi romani (anche se oggi sopravvive appena il ricordo con qualche traccia a Mignagola e Vascon) da sud a nord l'intero territorio di Carbonera. Quando il Veneto divenne parte dell' impero romano, furono costruite nuove strade romane e alcune passavano per il comune di Carbonera.

La Claudia Augusta Altinate, detta anche "imperiale via", era una grande via militare che partiva da Altino, proseguiva per Musestre, passava la Callalta e attraversava da sud a nord il nostro territorio all'altezza di Mignagola e Vascon, poi continuava per Spresiano, attraversava il Piave tra Nervesa e


Susegana e saliva verso il nord "usque ad flumen Danuvium", fino al fiume Danubio, per un percorse di 523 Km. L'imperatore Claudio aprì la grande via, che il padre Druso aveva tracciato, intorno al 15 avanti Cristo per assicurare i rifornimenti alle terre conquistate verso le Alpi. Claudio nel 47 dopc Cristo l'aveva fortificata e sistemata e le impose il suo nome. Questa strada romana, lungo l'intere percorso, evitava tutti i centri più grossi. Era una via di grande comunicazione, quasi un'anticipazione delle odierne autostrade (il tracciato dell' Alemagna A 27 segue un po' lo stesso itinerario). Non era un mezzo per le popolazioni, ma per un maggior controllo delle stesse; infatti lungo la strada erano disseminati castelli e torri da difesa. Lungo questa via troviamo situato anche il castello di Vascon (castrum cum fracta).

Anche la Postumia, una delle più celebri strade consolari romane, passava per il comune di Carbonera. Su questa via marciavano le "balde legioni romane, transitavano i consoli e gli

impera~ri ". Servì a precisi scopi militari e politici, ma la sua importanza andò oltre: servì di transito alle merci e ai traffici, unendo così popoli e culture, permettendo il progredire della civiltà. La Postumia partiva da Genova, passava per Piacenza, Cremona, Verona, Vicenza, Oderzo, Aquileia e proseguiva verso oriente. La sua costruzione fu iniziata nel 148 avanti Cristo per opera del console S.Postumio Albino su un vecchio itinerario percorso dal console M.Claudio Marcello, nel 183 avanti Cristo, e serviva ad assicurare il possesso dello sbocco della valle dell' Adige. Data la sua importanza furono costituiti frequenti posti di guardia e vennero assegnati a dei coloni romani dei campi, in modo che essi potessero difendere con le loro proprietà anche la strada. La campagna intorno si arricchì di "ville" (centri di produzione agricola) attorno al castello di un signore e Vascon ne fu un esempio. Treviso, diventato municipio romano, aveva costruito alcuni collegamenti con queste strade e con la vicina Oderzo, per mezzo della via "Ungaresca" e della "Caltrevisana".

La via Ungaresca passava vicino a Vascon per Catena e Lovadina verso il passo millenario del Piave, sulle grave di Papadopoli, e arrivava fino a Codroipo. Rimase in uso fino alla costruzione napoleonica del Ponte della Priula e della Pontebbana. Al passo del Palazzon si ricorda che si incontrarono Alboino, re dei Longobardi, e il Vescovo di Treviso, Felice; questo incontro risparmiò il saccheggio delle campagne e della città. La strada romana "Caltrevisana", che univa a Maserada la strada di Lancenigo con la celebre Postioma, fu costruita per affrettare la congiunzione con Oderzo.


CARBONERA

ASPETTO STORICO RELIGIOSO ANTROPOMORFICO

Il nome "Carbonera" può avere varie origini. Il nome di Carbonera avrebbe origine pre-romana e significa terra paludosa, torbosa e boscosa. Un tempo si dicevano "carbonere" certe parti di fortificazioni di castelli, dove si conservava il carbone per il lavoro dei fabbri e per le armi che servivano nelle scorrerie o assalti. Qui c'era un castello che diede il nome ad una regola, con l'appellativo di Carbonera o di "Castel Bemardo" forse da chi lo eresse.

Carbonera potrebbe peraltro derivar~ dalla bruciatura di boschi e legna per far carbone. Infatti esiste ancora oggi la via Boschi dove sembra ci fossero molte boscaglie. Inoltre "carbonere" si chiamavano anche i fossati lungo le mura della città, quindi il nome "Carbonera" potrebbe ricollegarsi alla vicinanza del paese a Treviso. Il capoluogo del nostro Comune un tempo comprendeva queste quattro regole o borgate: Carbonera propriamente detta, Bibano, il Castello e Mignagola (da fiumicello, "minor aquula" che significa filo d'acqua minore, rispetto agli altri che attraversano Carbonera). Non si hanno notizie della erezione della vecchia chiesa di Carbonera, però si sa che fu sempre della "mensa vescovile". Quando San Prosdocimo venne a predicare a Treviso, la tradizione dice che egli fece erigere fuori città una chiesa alla Divina Sapienza. Può darsi che l'abbia fatta erigere nel vicino castello di Carbonera. Le notizie su Carbonera sono scarse, per quanto antiche. Intorno al 1050 visse Drudone da Carbonera, il cui figlio Bertaldo, Arcidiacono della chiesa trevigiana, donò estesi beni in Tessera al monastero di San Benedetto di Po Vecchio (Mantova). Ai possedimenti che i da Carbonera avevano in Tessera va aggiunto il loro diritto su parte della chiesa di S.Elena in Tessera; questo, con atto datato 30 ottobre 1089, fu da essi donato al monastero di S.Benedetto di Po Vecchio. I possessi della famiglia da Carbonera durarono sino alla fine del xn secolo. Nell'anno 1115 i frati cluniacensi ebbero in dono il monastero di S.Giacomo Apostolo di Crespignaga da Bonifacio fu Bemardo, Bortolo fu Carbone e V olputa da Carbonera. In una pergamena scritta il 21 marzo 1121 "un Oderico da Carbonera" é sottoscritto quale testimone ad una donazione di terreni fatta da Gisla di Casiero alla chiesa di Santa Fosca di Treviso. La chiesa di Carbonera faceva parte della mensa vescovi le e perciò il vescovo aveva donato alcuni fondi ai canonici. Questo é dimostrato da una bolla di Papa Lucio III che nel 1184 confermò ai canonici di Treviso i privilegi, i diritti e i possedimenti. Il 15 ottobre 1198, con atto del notaio Pellegrino di Padova, Melio (Emilio), figlio di Alberto da Carbonera, donò a Giacomo, priore di S.Elena di Tessera, altri beni presso Carbonera nella località Fratriis e Castelletto. Nel 1199 era parroco a Carbonera un certo Bonifacio. Nell'anno 1241 Ezzelino da Romano prese il castello di Carbonera e lo fortificò. Ma il 21 luglio dello stesso anno i trevigiani se ne impadronirono facendo prigioniero il presidio tedesco tenutovi dal tiranno, distruggendo poi il castello. Da allora di quel castello non rimase più nulla, sembra che esso si trovasse fra il Melma e il Piovensan (tra le case Carraretto e Dossini). Infatti si dice che in quel luogo, quando si scavò la ghiaia da portare a Treviso per fare lo scalo merci ferroviario, vi trovarono resti di armi, grossi tronchi d'albero e ossa umane. Al castello possedevano terreni e case non solo i certosini, ma anche i domenicani di S.Nicolò di Treviso e i Serviti (Servi di Maria del convento S.Caterina di Treviso). In un documento del 1259 si nomina Jacobus Ayvardi di Carbonera. Della vecchia chiesa di Carbonera troviamo cenno solo nel 1217. Essa era filiale della Pieve di S.Maria e San Giovanni Battista di Piovenzano e Lancenigo che, a sua volta, faceva parte dell' Arcipretato di Quinto. Gli arcipretati della diocesi di Treviso erano quattro. La chiesa era dedicata alla Vergine sotto il titolo dell'Assunta o di


S.Maria Maggiore di Carbonera. Conservò questo titolo per molti. secoli e anche il Registro delle messe del 1824-27 é intitolato così: "Registro delle S.Messe che si celebrano nella parrocchiale chiesa di S.Maria Maggiore di Carbonera". Nell'anno 1598 il titolare della chiesa era il Redentore o la Resurrezione e tale pala era situata sull' altare maggiore mentre quella dell'Assunta era dipinta e posta su un altare laterale. Soltanto dopo il 1640 mutò la collocazione: all'altare maggiore fu posta l'Assunta e così il Redentore passò ad un laterale che da allora fu chiamato del Redentore o del Crocifisso. Il valore della prebenda nel 1330 era di f 50 fra rettore e uno o due chierici; nel 1474 era di 40 ducati. Beneficio ricco anche nel 1625 benché gravato di pensioni; il maggior reddito era per i quartesi, per difesa dei quali fu battuto un parroco (anno 1574). Solamente nel 1643 il battistero fu introdotto stabilmente nella chiesa terminando così la dipendenza di Carbonera dalla matrice di Lancenigo. Questo distacco non awenne pacificamente perché il pievano di Lancenigo era contrario e, nono~tante si celebrassero qui matrimoni e si seppellissero i morti, esigeva dal rettore di Carbonera le elemosine dei battesimi. Dodici anni dopo il parroco Don Giovanni Colesso, sostenuto dalla gente, ottenne il distacco definitivo dalla chiesa di Lancenigo con un decreto vescovi le. Nel 1638 costruì al castello di Carbonera l'oratorio della fam. Sala dedicato a Giovanni Battista, patrono dei cartai. Ma nel 1778 la mensa del suo altare era convertita in un focolare, poi fu nuovamente dedicato all'Addolorata passando infine al culto del Battista nella chiesa. Tutto questo si può ricavare leggendo una tavola di piombo su cui é incisa la storia dell'altare dell'oratorio. Su questa tavoletta é inciso: "Questo altare fatto dalla fam. Sala per un oratorio del 1638 sacro a San Giovanni Battista fino al 1778, poi sacro all' Addolorata, fu comperato con due reliquari dal parroco don Giuseppe Santinon e rifatto per lo scalpellino Piovensana. Tal fu donato alla chiesa e posto nel giugno del 1906". Quell'oratorio, che ora non esiste più, si trovava in mezzo alle case dove oggi abita la fam. Cozzi. Nel 1774 fu eretto l'oratorio del Rosario, di Alessandro Ermolao Tiepolo, dove la festa padronale si celebra la seconda domenica di ottobre. Questo oratorio nel 1790 conteneva una reliquia della S.Croce. La chiesa vecchia di Carbonera era nello spazio interno della chiesa attuale e fu demolita nel settembre del 1898. Su quando sia stata eretta non restano memorie, ma alcuni dati e registri fanno pensare che lo sia stata attorno al Mille. Nel 1485 venne restaurata perché era cadente e ciò dimostra che era molto vecchia. In origine la chiesa era una cappella alla quale il vescovo di Treviso mandava un sacerdote per celebrare la messa nei giorni festivi. Nell'anno 1312 fu elevata a chiesa parrocchiale e nel 1617 fu ampliata. Il vecchio campanile era addossato al coro della vecchia chiesa, a tramontana, ma nel 1834, con il parroco Don Antonio Mosco, fu demolito e in dieci anni (1834-1843) "si innalzò isolata la bella e solida torre di stile romanico decorata di orologio". La nuova chiesa di Carbonera doveva sorgere sullo stesso luogo dell'altra, per questo motivo fu necessario abbattere la vecchia chiesa. Così nel settembre 1898 si demolirono la cappella e il coro lasciando solamente il vano principale per poter svolgere le sacre funzioni. Nel marzo del 1899 si incominciarono lo scavo delle fondamenta e i lavori per la costruzione della nuova chiesa, che fu costruita in soli otto anni, dal 6 aprile 1899 al 28 ottobre 1907 (veramente un tempo record per quegli anni) e terminata nel 1908. All'interno della chiesa vi sono sette affreschi del prof. Antonio Beni: gli affreschi della navata rappresentano i quattro evangelisti, quello del catino del coro rappresenta l'Incoronazione di Maria Santissima, nelle mezzelune sopra l'altar maggiore sono raffigurate la Presentazione di Gesù al tempio e la Deposizione della Croce. All'altare di San Giovanni Battista é dipinto su tela il Battesimo di Gesù, mentre all'altare di Sant'Osvaldo si trova una tavola di ignoto del 1769. Anche in sacrestia si può ammirare una tela pregiata di scuola veneta; questo dipinto viene attribuito al Piazzetta (discepolo di Tiepolo). La pala dell' Assunta, sull' altar maggiore, fu eseguita da Augusto Cantoni da Venezia nel marzo 1858, per 684 lire austriache. Le cantorie del coro sono un'opera finemente lavorata in pietra tenera bianca di Vicenza. Le due logge a fianco dell'altare maggiore dovevano servire per l'organo e i cantori. Esecutore dell'opera, su disegno del Beni, fu lo scalpellino Piovensana Valentino. Da alcuni documenti risulta che nella vecchia chiesa c'era l'organo fin dal 1764 che, nel 1955, venne sostituito da un altro più moderno a sistema elettrico.


Dopo 60 anni circa dalla costruzione della chiesa, la facciata del tempio fu completata coprendo i mattoni con marmorino e rivestendo di marmo tutta la base. La facciata della chiesa sembra dorata, così appare quando é illuminata dai raggi solari e inoltre é ornata da quattro mosaici multicolore raffiguranti il Redentore, S.Pio X, il servo di Dio Mons. Longhin e l'Assunta.

ASPETTO ARTISTICO

La villa Tiepolo, ora Passi, é una grandiosa costruzione risalente ai primi anni del 1600 con un bellissimo giardino arricchito di opere scultoree in pietra e un vasto parco tutto intorno. La casa patronale era un tempo staccata dalle adiacenze, mentre ora non lo é più. La costruzione aveva un carattere orizzontale, con la facciata rotta da finestre alte e strette, ad arco, al primo piano. L'aggiunta dell'abbaino, sproporzionato rispetto al corpo, ha interrotto la primitiva proporzione facendo perdere alla villa il carattere di linearità e compattezza voluta dall'ignoto architetto, preoccupato di rendere confortevoli gli interni con una piacevole distribuzione delle stanze intorno al vasto salone, a sua volta arricchito da un notevole ciclo di affreschi con finte architetture e personaggi mitologici. Anche l'autore delle pitture é ignoto, ma non deve essere stato tm autore di secondo piano, dato il carattere impetuoso che scaturisce dalle scene e la fantasmagoria dei colori. Il piccolo tempio é affiancato da un piacevole campanile con cupolino, arricchito con stucchi veneziani, con un affresco sul soffitto e una pala raffigurante i Santi Domenico e Gaetano. Alcune statue, che si trovano nel giardino, sono attribuite a Giuseppe Bemardi detto Torreni (1694-1774), nella cui bottega lavorò a lungo Antonio Canova. L'oratorio privato venne eretto nell'anno 1663 per opera del Com. Alessandro Ermolao Tiepolo, dopo aver ottenuto il permesso di avere il Santissimo da Papa Alessandro VI, con indulgenza plenaria. Invece la chiesetta, che si affaccia ora sulla strada, é stata eretta da un altro Ermolao Alessandro Tiepolo il 15 luglio 1774, com'é ricordato nella lapide sulla facciata della stessa. L'oratorio é dedicato al Rosario per ricordare il trionfo na ••.. ale di Lepanto nel 1571, ritenuto una grazia della Madonna del Rosario. Pio VII vi ha fatto pure delle roncessioni spirituali. L'oratorio é provveduto di paramenti sacri. La villa, attualmente della fam. Passi, fu fatta costruire dal Senatore Almoro Tiepolo, personaggio a proposito del quale Carlo Gozzi racconta un episodio rivolto a dimostrare come nel periodo di decadenza taluni patrizi "serbas...~ro salde le maschie virtù interiori". Nel 1918 la villa Tiepolo diventò "Ospedale Militare Croce Rossa-città di Milano n.7". Nel 1943, a causa della guerra, la villa fu abbandonata dalla fam. Passi trasferitasi a Venezia, perché la casa fu occupata prima dal distretto militare poi da un comando contraereo tedesco, indi adibita a sede della Prefettura e Questura repubblicana di Treviso. La ex Villa Tiepolo é custodita in modo esemplare dalla fam. Passi.

La villa Gradenigo, ora Pellegrini, fu fatta costruire dai conti Gradenigo nel XV secolo. I Gradenigo, nobili veneziani, erano benefici villeggianti a Carbonera; alcuni furono quivi sepolti. Nella villa la N.O. ultima proprietaria, per privilegio apostolico, ottenne l'altare domestico finché visse. Durante l'ultima guerra, la villa Gradenigo accolse le suore Canossiane sfollate da Treviso. Infatti in un documento, che si trova in Archivio di Curia, datato 28-1-44 si legge "Si concede la licenza di celebrare la messa e di custodire il Santissimo Sacramento nella cappellina allestita provvisoriamente nella villa del Sig. Pellegrini in Carbonera in favore delle suore Canossiane ivi ospiti, servatis de jure servandi". Quivi era sfollato anche l'istituto Zalivani. Dopo il Gradenigo, per breve tempo la villa appartenne alla tàm. Ossi, che regalò alla chiesa due banchi con il proprio nome scolpito. Ora la villa é della fam. Pellegrini. E' semi nascosta da un ampio parco lambito dal fiume Melma.


MIGNAGOLA

ASPETTO STORICO, RELIGIOSO E TOPONOMASTICO

L'origine del nome di questa località deriva dal latino "minor aquula" (da cui Mignagola) che significa "filo d'acqua minore", rispetto agli altri fiumi che attraversano Carbonera. La prima comparsa nella storia di Mignagola come entità civile avvenne nel Medioevo. Precisamente in un documento del 1314 ("Quarterium de Ripa 1314"), riguardante le Pievi e le regole dei territori di Treviso, si nomina la regola di Mignagola che allora apparteneva alla Pieve di Lancenigo. Inoltre in una relazione del 1345 si accenna alla regola (borgata) di Mignagola che faceva parte della Zosagna di Sopra. Nel Medioevo ogni anno si formavano delle commissioni, le quali dovevano recarsi (dopo il raccolto) nelle varie parti della podesteria e prendere nota, presso ciascuna famiglia, del quantitativo di produzione di frumento, segala, avena, legumi, sorgo e miglio. Queste commissioni erano formate ciascuna da un cittadino, un notaio e un banditore. In tutto erano otto, quante erano le regioni in cui la podesteria di Treviso era allora divisa: Campagna di Sopra e Campagna di Sotto, Zosagna di Sopra e Zosagna di Sotto, Mestrina di Sopra e Mestrina di Sotto, la Regione al di qua del Piave e la Regione al di là del Piave. Allora le regole di Mignagola, Carbonera, Castello di Carbonera, Pezzano, Vascon, S.Giacomo di M., assieme ad altre borgate, formavano la Zosagna di Sopra. Un tempo Mignagola era una zona totalmente agricola, ma non appena fu inventata la fabbricazione della carta, a Mignagola e nei dintorni, si sviluppò l'industria artigianale della carta sfruttando la forza idraulica dei fiumi. Testimonianza della plurisecolare attività della cartiera artigianale della carta di questo paese é la carta topografica della Pieve di Treviso del VII secolo (vedi in seguito nella sintesi cronologica, tavola sesta) in cui si nota la presenza di una cartiera sul fiume Mignagola. Inoltre, nello Statuto Caminese, compilato poco appresso il 1283, si parla di tintori e fabbricatori di carta lungo i fiumi di Carbonera e nelle zone vicine. Pertanto a Mignagola i primi operai furono cartai come si può dedurre dai primi registri canonici dell'archivio parrocchiale; infatti dopo il 1500 negli atti di battesimo e matrimonio troviamo spesso l'aggettivo "cartero, cartaro" e così anche in seguito. Gli operai cartai vollero scegliersi un patrono per il loro mestiere ed elessero S.Giovanni. Così il 25 aprile 1677 costituirono la "Scuola di S.Giovanni o dei Morti" (allora i gruppi cattolici che si costituivano per varie finalità, si chiamavano Scuola). La prima riunione costitutiva si ebbe il 25 aprile 1677 nella chiesa di Carbonera, quando era pievano don Antonio Catena. I primi massari della scuola furono Camillo de Loschi da Mignagola e Gerolamo Conte da Carbonera. Poi fu dettato il regolamento che incomincia così: "Nel nome del Signore Iddio e della Beata Maria Vergine

                                                                                                                                                                e del glorioso S.Giovanni Battista Protettore di questa Scola e di tutta la Celeste Corte ..................................................... ".

Un'interessante notizia, riguardante lo sviluppo dell'attività della cartiera artigianale di Mignagola, si trova in un certificato della Repubblica di Venezia. Infatti il 4 febbraio 1764 i Provveditori sopra i beni inculti della Repubblica di Venezia concedevano a Giovanni Battista Grenoll'uso di tre ruote ad uso cartiera sul Mignagola in Carbonera e di commutare due ruote ad uso mulino in uso cartiera. La cartiera di Mignagola, l'odierna Burgo, fu acquistata da Tommaso Salsa e dai suoi figli Agostino, Carlo, Antonio e Francesco intorno al 1800. Quando morì Tommaso Salsa, la cartiera fu gestita dal figlio Francesco un primo periodo, poi dal fratello Carlo che era medico condotto di Carbonera. Allora la cartiera aveva sei tini e poteva fabbricare Kg.500/600 di carta al giorno. Lo smercio della produzione era rivolto verso Trieste e l'Oriente. Nel 1838 la famiglia Antonio Salsa eresse dentro le mura della cartiera, vicino alla portineria vecchia, un oratorio dedicato alla Madonnà della Salute affinché proteggesse gli operai della cartiera. Contemporaneamente questo oratorio era dedicato a


S.Antonio da Padova in ricordo del donatore. L'oratorio era di bella forma, con coretti laterali al presbiterio, ampio e bene arredato, e sacrestia dietro l'altare. Questa chiesetta non era pubblica come ci testimonia un documento scritto 1'8 agosto 1902: "Questa Curia dichiara che la S.Messa festiva nell' oratorio detto di Mignagola, in parrocchia di Carbonera, é per i soli abitanti delle casette della cartiera nonché per gli operai tutti, anche di altre parrocchie che si trovano, durante il tempo di detta messa, nello stabilimento. Sono quindi escluse tutte le altre persone". Verso il 1880 la cartiera fu venduta al conte Reali e gradualmente meccanizzata; diventò così una cartiera moderna tecnologicamente e tra le più grandi della nostra regione. Passata la cartiera dai signori Salsa ai nobili Reali, l'oratorio di Mignagola fu abbattuto e una piccola cappella fu costruita, fuori le mura dove ora c'é la portineria nuova, in sussidiaria per gli operai, ed ebbe il S.S. Sacramento e la messa festiva servendo pure alle suore della Misericordia, chiamate dalla fabbrica a dirigere le lavoratrici e l'asilo. Nel 1911 la cartiera fu acquistata dal conte Volpi di Misurata, che l'ha gestita fino agli anni '20 quando divenne proprietà della fam. Burgo che la trasformò in un' industria. Infatti nel 1924 é sorta la cartiera Burgo che attualmente conserva il nome del suo fondatore "Burgo", ma in realtà é una società per azioni. L'oratorio di Mignagola ricevette due visite vescovili: il 6 gennaio 1931 il vescovo A.G.Longhin e il 3 febbraio 1942 il vescovo A.Mantiero visitarono l'oratorio pubblico, appartenente alla ditta Reali prima, alla cartiera Burgo poi, sotto il titolo di Madonna della Salute e di S.Antonio, e trovarono tutto a dovere e tributarono le debite lodi alle persone che con tanto zelo si prestavano a mantenere il decoro del luogo destinato al culto del Signore. Avevano cura della chiesetta, sotto la sorveglianza dell'arciprete parroco di Carbonera, le suore della Misericordia addette alla direzione dell'asilo infantile per i figli degli operai, alla scuola pareggiata alla comunale per i fanciulli più grandi e, infine, alla custodia del dormitorio delle ragazze e donne che lavoravano nello stabilimento. Fino a non molto tempo fa (1946) Mignagola dipendeva direttamente dalla parrocchia di Carbonera ed era una borgata del capoluogo. Allora i confini delle attuali frazioni del nostro Comune erano completamente diversi da quelli odierni, poiché Mignagola non era una località comunale. Questo fatto possiamo constatarlo guardando la piantina geografica del comune di Carbonera, disegnata nell'anno 1897 (come si vede nel timbro in alto a sinistra). Il primo gennaio 1946 la località di Mignagola, con un decreto vescovile datato 25 aprile 1945, viene eretta in Vicarìa Perpetua e alla medesima vengono assegnate come territorio, smembrandole dalle rispettive parrocchie, le porzioni di Carbonera, di S.Giacomo e di Pezzan segnate nell'annessa carta topografica ai numeri 1, 2, 3, (allegato A). Quale dote benefici aria, oltre agli incerti guadagni probabili di stola, alle questue d'uso e ai cespiti di quarte se o di altro genere vigente in detto territorio, vennero assegnati alla Vicaria Perpetua di Mignagola, smembrandoli dal beneficio parrocchiale di Carbonera, complessivi Ea.3.75.62 di terreno. Come chiesa vicariale, in attesa della nuova costruzione di un tempio e annessi edifici per la Dottrina Cristiana e l'abitazione del Vicario, venne assegnato l'oratorio della cartiera Burgo. In questa cappella fu eretto il fonte battesimale e furono celebrate tutte le funzioni d'uso e di diritto. Così il vicario aveva la piena cura d'anime con tutti i diritti e gli obblighi dei parroci a norma del diritto comune, degli statuti dio ce sani e delle consuetudini locali approvate dalla chiesa. Nel 1957, con un decreto dell'Ordinario diocesano di Treviso in data 20 luglio 1957 é stata eretta la nuova parrocchia della Presentazione della Beata Maria V. nella frazione di Mignagola in comune di Carbonera. La nuova chiesa di Mignagola é stata costruita nel 1952 con le pietre recuperate dalla demolizione dei fabbricati della vecchia cartiera Burgo. Alla sua costruzione parteciparono anche gli abitanti del paese. La chiesa é in stile romanico-basilicale-moderno come il campanile addossato alla basilica. Il campanile ha tre campane, di cui due appartengono alla chiesetta abbattuta nel 1953 perché vi doveva passare la strada che congiunge Mignagola a Olmi, l'altra fu donata dalla cartiera Burgo. La facciata della chiesa si innalza in puro stile romanico con una nobile semplicità di linee interrotte da una grande croce. All'interno si notano la grande ed unica navata principale, l'ampia abside ornata ai lati da due statue rappresentanti il Sacro Cuore di Gesù e la Madonna della Salute (patrona del paese) e l'imponente soffitto in legno, sorretto da pesanti travi. Il lato sinistro del tempio


è abbellito da una nicchia dedicata a Maria Bambina con relativa statua. La base dell'altare, a cui si giunge salendo tre gradini, é di cemento inciso e decorato. L'altare é di marmo rosato; sopra di esso spicca una grande croce incavata in un alto muro. Dietro l'altare, si trova l'organo costruito nel 1927 e installato nella chiesa nel 1967. Il pavimento é di marmo chiaro al centro della navata, a riquadri bianchi e rosati sotto le due file di banchi che sono in legno di noce. All'esterno, davanti alla porta principale, ci sono alcuni gradini. La chiesa presenta sul lato sinistro un'entrata laterale per la sacrestia e il tempio, sul lato destro un porticato dove la gente ripone le biciclette quando si reca in chiesa. Nell'ottobre del 1982 (8 otto - 6 nov.), 25° anniversario dell'erezione della nuova parrocchia di Mignagola, il parroco e la comunità del paese hanno voluto completare il tempio intonacando tutte le pareti esterne, perché i mattoni, esposti ad intemperie del tempo, si erano deteriorati. Così la generosità e la pietà dei fedeli hanno dato a Dio una chiesa più splendente e graziosa. Nella prima metà del XX secolo a Mignagola accaddero alcuni fatti storici importanti. Nella primavera del 1911 il re Vittorio Emanuele III venne a Mignagola presso la villa Bussola (sita in via Codalunga) dell'On. senatore Ubaldo Bussola per una visita. Il re d'Italia, approfittando dell'occasione, partecipò ad una partita di caccia, con il senatore, nel parco dietro la villa. Durante le fasi finali della prima guerra mondiale il territorio di Mignagola, come quello del nostro comune, si trovò vicinissimo al fronte di battaglia. Infatti, dopo la disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917), il comando supremo dell'esercito, passato dalle mani di Cadorna a quelle del generale Diaz, costituì sul Piave la nuova linea difensiva che andava dal massiccio del Monte Grappa al Montello e lungo il Piave. Inoltre, il comando supremo della linea difensiva stabilì di trasformare Villa Bussola in sede del comando generale del fronte-Piave. Così più volte il generale Diaz controllò il fronte Grappa-Piave, dalla villa Bussola. Con la formazione del nuovo fronte, sul territorio di Mignagola passava la terza linea di combattimento. Infatti lungo la via Codalunga e lungo altri territori erano fissate barriere di filo spinato sostenute da pali alti due metri; in più, ogni cento metri era installata una pesante mitragliatrice. Durante la grande guerra, una divisione di soldati era accampata dietro la cartiera Reali (ora Burgo) e là, difendendola, sparava verso il fronte. Allora una parte di territorio, dentro le mura della cartiera, era destinata a base militare di riposo per i soldati del fronte, ma nonostante queste difficoltà la cartiera continuava a produrre carta. Mignagola visse il tumultuoso e confuso periodo della guerra dal 1940 al 1944 in un'apparente tranquillità, ma con patema d'animo ed una costante preoccupazione per quello che avveniva nei paesi contermini e, specialmente, nelle sue campagne confinanti. Verso la fine della guerra anche questo paese subì il passaggio di Tedeschi e Repubblichini in ritirata e fu sottoposto ad alcune incursioni aeree alleate con mitragliamenti, spezzoni incendiari e sgancio di qualche bomba; lo scoppio di una di queste, il 29 marzo 1945, provocò la morte di una giovane che stava raccogliendo dei tralci in un vigneto, Maria Moro di 18 anni. Nella primavera del 1945 l'ondata della Liberazione investì, con il suo pesante e tragico fardello di vittime, Mignagola; la cartiera diventò sede di un comando partigiano' e, purtroppo, anche teatro di numerose esecuzioni sommarie di fascisti o presunti tali che hanno avuto come primo luogo di sepoltura il tratto tra la ferrovia della fabbrica e il Mignagola, dove ora si snoda la strada per Olmi. Furono successivamente riesumate e seppellite davanti alla chiesa di Carbonera. Per capire un po' la Liberazione a Mignagola e in generale é significativo un brano di Montanelli-Cervi in Storia d'Italia "Questo periodo ebbe l'ambizione di essere rivoluzionario, ma della rivoluzione spartì solo in piccola parte i connotati nobili ed epici, l'ardore del nuovo, la genuinità delle convinzioni e delle passioni, la speranza del futuro, e in larga parte i connotati deteriori: la ferocia e la vendetta rispondenti l'una e l'altra ad altre ferocie e ad altre vendette".


ASPETTO ARTISTICO

L'ex villa Bussola, sita in via Codalunga, risale alla seconda metà del XVII secolo o agli inizi del XVIII secolo. Questa villa é stata costruita con mattoni lavorati, intervallati da qualche giro di sassi, specialmente la parte della stalla. I soffitti, i solai e i tetti sono in legno con copertura di robuste tegole. Allora si usava il legno per queste strutture poiché é un materiale molto malleabile; infatti i soffitti erano decorati e lavorati. Il pavimento é in maiolica veneziana, un prodotto tipicamente italiano. Le piastrelle sono ricoperte di smalto opaco. I balconi della casa sono piccoli e numerosi per praticità e collocati in più direzioni nella stanza. Per rafforzare gli angoli della casa i costruttori di questa villa si sono serviti di ferri a forma di X come ancoraggi primitivi. Al primo piano erano situate le camere da letto e un ampio granaio. Nella cucina esisteva il caminetto a pianta centrale che serviva per cuocere il cibo e riscaldare la stanza. Questo caminetto era simbolo di unità familiare e portava un'unione più intima delle persone. Tipici e funzionali erano i portici con un'arcata che servivano a tutti gli usi: come atrio spazioso per la casa, per riparo, per l'accesso alle varie stanze, come deposito di attrezzi e come luogo di lavoro. Dall'interno partiva la grande scala in legno decorato che dava accesso alle stanze del piano superiore. Un tempo questa villa era circondata da un bellissimo giardino ricco di fiori e da un vasto parco verde ora trasformato in terreno coltivabile. Nella primavera del 1911 questa villa, del senatore Bussola, ricevette la visita del re d'Italia Vittorio Emanuele m. Durante la prima guerra mondiale la villa fu trasformata in una base militare e comando generale del fronte Piave. Poi nel 1927 Villa Bussola, avente valore artistico, fu venduta come casa colonica alla famiglia Taffarello Fiorino. Ora é stata oggetto di adattamenti e trasformazioni, ma l'architettura moderna conserva le originali caratteristiche.


 


                       

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PEZZAN

ASPETTO STORICO, RELIGIOSO E TOPONOMASTICO

Il nome di questa località deriva da pezze di terreno dissodate e ridotte all'agricoltura lungo il fiume Melma. Le prime date storiche di Pezzan risalgono al XIV secolo. In questo periodo i patroni di Collalto diedero la chiesa di Pezzan, ultima cappella di Lancenigo, al monastero di Nervesa. Questo fatto é nominato nella bolla di Gregorio IX (1231) che riconobbe la cappella esistente a Pezzano e di essa dicevasi: "della Pieve di Lancenigo soggetta alla Giurisdizione dell'Ill.mo. R.R.Monsignore conte di Collalto dell'abbazia di Nervesa". Nel 1356, quando i Veneziani erano minacciati di guerra dal potentissimo re d'Ungheria Ludovico, prima che Treviso fosse assediata, fu demolito il castello dei Pezzani per un decreto ducale del 1356, emesso dal Doge Giovanni Gradinigo; diceva fra l'altro: " ..... fu esso castello demolito e furono riempite le fosse nel timore che al nemico servir potesse di qualche difesa". Riguardo a questo episodio qualcuno pensa che Pezzan abbia preso il nome dai "Pezzani", una nobile famiglia che possedeva vasti territori e il castello lungo il fiume Melma sulla via Ungaresca (sec. XII). A detta famiglia succedette la Signoria dei Sinisforti, una delle 57 famiglie nobili esistenti nel trevigiano. Questa località era chiamata "Pezzano di Melma" fin dalle sue origini. L'aggiunta di "Melma" servì a distinguere questo paese da un altro "Pezzano di Campagna" (Istrana). Nel 1871 cambiò il nome in Pezzan di Melma e nel 1939 in Pezzan di Carbonera. Il primo cappellano della cappella esistente a Pezzan, che apparteneva alla Pieve di Lancenigo, fu padre Gercondino che ne prese possesso per celebrare la messa nei giorni festivi. Nel 1330 il suo beneficio ecclesiastico era di sole f, 5. Nel 1344 la chiesa fu dedicata al solo apostolo Giacomo, più tardi gli fu aggiunto Filippo, così oggi si chiama parrocchia dei S.S.Filippo e Giacomo. Nel 1470 a Pezzan veniva assegnato un curato della chiesa madre di Lancenigo (dove, per esempio, si dovevano portare i neonati per il battesimo). La cronaca ricorda che nel 1593, anche dopo l'Ascensione, si accendeva il cero pasquale contro il cattivo tempo; inoltre nella chiesa vi era un altare di S.Sebastiano e S.Rocco contro la peste. Nel 1596 ad opera degli Eremitani (frati Agostiniani di Treviso) si costituì la scuola della Madonna della Cintura (della consolazione) considerata fin da allora la patrona di Pezzan. Per questo motivo in suo onore ogni anno se ne celebra la festa (2/\ domenica di settembre) unitamente alla sagra paesana. Il 18 aprile 1599 fu consacrata la chiesa e perciò da allora fu possibile celebrare tutti i riti sacri-religiosi. In quell'anno era rettore padre Camillo Paladino; fu stabilito che la comunità dovesse offrire al sacerdote 12 libbre di formaggio, 12 misure di frumento, 12 di sorgo, 12 di miglio, 2 botti di vino, 2 passi di legna (circa 4.5 mc), più altre cose per un valore di 6 ducati. Dalla terra usufruiva, per beneficio ecclesiastico, di 8 misure di frumento e di altre due botti di vino. Fin dal 1601 si iniziò la fTequenza alla dottrina cristiana, per arrivare in seguito ad una vera vita e comunità parrocchiale. Nel 1605, per l'intensa siccità, la gente di Carbonera con le persone dei paesi vicini si recò in pellegrinaggio alla chiesa di S.Maria Maggiore in Treviso per ottenere la grazia dalla Vergine. La chiesa subì nel tempo parecchie trasformazioni e ristrutturazioni, fra le quali il campanile costruito nel 1674. Nel 1791 la prebenda (beneficio ecclesiastico) consentiva un valore per duecento ducati, provenienti dal testatico (un tanto a testa) sostituito poi dal quartese. L'organo della parrocchia é del 1793. Nel 1875 un fulmine atterrò il campanile e ben presto la buona gente di Pezzan si impegnò per erigerlo nuovo cogliendo l'occasione di rinnovare la chiesa. In questi ultimi anni la parrocchia si é impegnata per la ricostruzione di una confortevole scuola materna.

La fabbricazione della carta a Pezzan risale all'epoca della sua invenzione. Testimonianza della plurisecolare attività delle cartiere in questo paese é un documento del 1683 dove sta scritto che un


direttore di cartiera ha pagato il testatico anche per i suoi operai. Questa notizia avvalora l'antichità delle cartiere di Pezzan. Presso questa località esistevano tre cartiere: due lungo il Melma e una lungo il fiume Bagnon. La cartiera Venerando, gestita poi dalla S.p.a. Cartiera di Carbonera, é stata fondata nel 1814, ma già sul luogo esisteva una primitiva cartiera artigianale. All'inizio era stata costruita per fabbricare carta-paglia lavorata a mano e asciugata all' aria. Ancora oggi non si conosce il nome del suo fondatore, ma da molti anni era in proprietà della fam. Venerando. Nel 1912 in questa cartiera fu installato un macchinario per la fabbricazione della carta-paglia secondo un nuovo metodo, che consta nel fabbricare la carta su tavola piana e nell'asciugarla mediante cilindri essiccatori (metodo Fourdriner). Inoltre, prima della seconda guerra mondiale, é stato installato l'impianto di macinazione automatica della carta-paglia con metodi di una ditta tedesca. Nel dopo guerra la cartiera abbandona la fabbricazione della carta-paglia dedicandosi alla produzione di carta da impacco ordinario. Nel 1964 in questa industria é stato installato un moderno impianto per la produzione di cartoncini da stampa e scatolame. La seconda cartiera lungo il Melma sorgeva presso la vecchia casa dei Da Re e la terza, situata sul Bagnon, era proprietà del signor Ochs e tenninò la sua attività verso il 1860. Nel 1875 fu acquistata dai signori Bettiol che la trasfonnarono in un pastificio, con l'ausilio della "rosta" (ruota). La fam. Bettiol continuò la sua attività fino al 1963 quando il fabbricato fu venduto al sig. Faotto, attuale proprietario, che ha ritrasfonnato l'edificio in cartiera. Questa cartiera produceva carta catramata per imballaggi, carta accoppiata, cartofeltro cilindrato e golfralluminio. Ora la cartiera é stata trasfonnata in magazzino, poiché i macchinari sono stati trasportati nella nuova sede a Mignagola, in via Spercenigo.

ASPETTO ARTISTICO

Lungo la riva sinistra del Melma si trova Villa Maria (ex Villa Lebreton) con ampio parco e campo da calcio. Nella storia di Pezzan ricorre più volte il nome dei signori Gradenigo e si pensa che la nobile famiglia veneziana abbia fatto costruire questa villa verso la metà del 1600, sul luogo dove un tempo sorgeva il castello dei "Pezzani". Lo stile veneziano della villa si può notare nella facciata e soprattutto negli affreschi della sala di entrata. La cappella, posta esternamente con sub-titolo "Charitatis", reca in alto la scritta: Ave Maria. Detto oratorio era noto in passato come dei Gaggio, dei dal Maschio, dei Lebreton, e questo dovrebbe essere il succedersi dei vari proprietari prima che la villa diventasse un istituto per il recupero e il reinserimento dei minorenni, con l' ausilio dei padri maristi. L'attuale villa Brusso, ex villa Santina e villa Veneta, era in origine un monastero e luogo di villeggiatura degli Eremitani o frati Agostiniani di Treviso. Questi furono i fondatori della Scuola o Confraternita della "Madonna della Cintura" nel 1596. Agli Eremitani succedettero i Filippini (religiosi oratori ani di Venezia) che vi abitarono fino al 1860. Della prima costruzione, risalente al 1500, rimane l'ala dell'attuale villa che porta lo stemma con cappello doganale. Un bel parco, l'ex "vigna o brolo" dei frati, abbellisce e circonda la villa mentre davanti a questa si trova la "cappella della Visitazione". La villa si trova alla confluenza delle due strade che, scendendo da due cavalcavia sull'autostrada alemagna A 27, conducono da Pezzan a Breda di Piave.

Dell'attuale casa Torresan, in via Graere, non si sa con certezza lo scopo della costruzione. Tuttavia si suppone che in origine fosse abitata da religiosi; inoltre questa ipotesi é stata avvalorata dal ricordo della gente di un oratorio presso questa villa. La villa Torresan, che risale al 1600, prima degli attuali proprietari era in mano ai signori Facco da Genova. Questa casa di valore artistico fu sede del municipio di Pezzano nel periodo di governo austriaco. Infatti, prima che il comune di Carbonera iniziasse la sua attività ufficialmente (1 maggio 1816), l'odierno territorio era diviso in quattro comuni diversi tra loro. Così la sede del comune di Pezzan era in casa Torresan, e il signor Giuseppe Miceletto, ricco proprietario di terre, esercitò le funzioni di sindaco e segretario durante il governo austriaco.


SAN GIACOMO DI MUSESTRELLE

ASPETTO STORICO, RELIGIOSO E TOPONOMASTICO

Il paese viene distinto e preceduto dal nome del Santo Patrono S.Giacomo Maggiore aggiungendovi il termine della località Musestrelle, piccolo fiume che l'attraversa. Secondo alcuni la fondazione di questo paese é dovuta a quei monaci Benedettini che furono a capo dei nuclei fuggiaschi che, qua e là, diedero origine alle località con il toponimo di persona, in questo caso di Santo. Quelle comunità di cristiani, con a capo religiosi, scelsero per il loro paese quel santo che maggiormente veniva onorato. Il titolo S.Giacomo Maggiore allude alla fondazione della chiesa, per i pellegrini di Compostella, come luogo di preghiera, di riposo e di ristoro. Inoltre, essendo dipinti nella pala del pittore udinese Amaretto i santi Giacomo e Cristoforo (invocato contro le alluvioni e i danni provocati dalle acque) le cui festività cadono nel medesimo giorno 25 luglio, si potrebbe altresì riconoscere l'istituzione della chiesa quale voto per sfuggire agli infortuni, specialmente alle alluvioni. I primi cenni storici di questo paese risalgono al XIV secolo. Infatti nel 1314 S.Giacomo di M. faceva parte integrante, con altre regole, della Pieve madre di Varago. La prima comparsa nella storia del paese come entità civile, awenne nel 1315 in occasione della tassazione di tutte le regole e pievanie dipendenti dal comune di Treviso, per far fronte alla enormi spese sostenute dallo stesso comune per la riparazione e l'aggiornamento delle mura di difesa attorno alla città. Inoltre, in un documento datato 5 settembre 1315, il conte Rambaldo di Collalto rivolgeva al Podestà di Treviso, Manno della Branca, una supplica con la quale chiedeva di trasportare a S.Salvatore e a Collalto 374 staia di frumento raccolto nei suoi territori di Musestre, di S.Giacomo, di Breda, di Meolo e Monigo. Questo dimostra che al conte Rambaldo di Collalto appartenevano alcuni campi di S.Giacomo di M. La rendita della parrocchia, detta prebenda, intorno al 1330 era valutata in L.40. Apparteneva, come tuttora appartiene, alla mensa del Vescovo di Treviso. La prima visita pastorale, effettuata dal vescovo di Treviso, sempre come delegato da quello di Feltre e con il beneplacito dell'abate di Vidor, awenne il lO maggio 1474. Nei secoli passati frequenti controversie per i confini e la chiesetta di S.Giovanni turbarono la pace del paese. La prima causa si ebbe nel 1497, quando il rettore di Musestrelle addivenne ad un certo combinamento con Pero, nella persona dell' abate di Vidor, per i buoni uffici del vescovo di Feltre, autorità ecclesiastica del territorio e della stessa abbazia, con la delimitazione dei confini e con una contropartita per quanto riguarda i contratti d'affitto dei terreni lavorati da contadini, appartenenti all'una e all'altra parrocchia e con le abitazioni nelle due ville. Ma più lunga e aspra controversia si ebbe per la chiesetta di S.Giovanni che fu contesa dall'abbazia di Vidor, che la voleva assegnata alla parrocchiale di Pero di Sopra, ed il Capitolo di Treviso a quella di S.Giacomo, perché sita nel territorio circoscritto alla stessa. Infatti la chiesetta di S.Giovanni, forse eretta intorno al secolo VIII o IX, poi ricostruita e ristrutturata rispettando la primaria planimetria e posizione, é sita a pochi passi dalla parrocchia di S.Giacomo e separata da una siepe e un rigagnolo con abbondante acqua sorgi va. Nel 1561 con la nomina del conte Cosma di S.Polo, con l'assegnazione del beneficio di terre della villa di Roncadelle, podesteria di Oderzo, ebbe di conseguenza anche il patronato della chiesetta di S.Giovanni, dopo tante vicende giudiziarie ed interventi di ecclesiastici, ritenuta di pertinenza della parrocchia di S.Giacomo di M., perché considerata nel suo territorio, creando nuovi dissapori e contrasti tra i due contendenti. Alla morte del conte Cosma, tale diritto passò ad un certo Pasqualigo, nel 1572. Questi però, dopo vent'anni, per l'intervento del cardinale Corner, che a suo tempo fu abate e poi vescovo di Feltre e che gli mosse causa, perdette il beneficio della chiesa di S.Giovanni che venne considerata in territorio di Pero di Sopra e non in quello di S.Giacomo di M. che perdette ogni diritto su quella


chiesa. Nel 1601 il reddito della chiesa era di 70 misure di frumento d'affitto e 5 della villa (ossia secondo il testatico), 7 botti di vino oltre quello del paese, 2 misure di spelta, un carro di fieno più 15 ducati di contratti d'affitto di case. La chiesa di S.Giacomo di M. venne eretta, ex novo, sullo stesso luogo della precedente intorno all'anno 1662, mentre il coro venne costruito nell'anno 1751. La torre campanaria, preesistente alla nuova chiesa, subì degli ammodernamenti con delle riparazioni nello stesso periodo. Nel 1752 fu trasportato da Venezia l'altare maggiore in marmo, al tempo in cui era parroco G.M.Sartorio, che ne fece donazione alla chiesa di S.Giacomo. Sugli altari laterali ci sono due pale di autore ignoto: una rappresentante "la Madonna del Rosario", l'altra "S.Antonio Abate, S.Lucia e S.Apolionia". Ci sono ancora ai lati della chiesa, sul muro, due tele della pittrice Ada Gainotti: una con S.Giovanni Bosco, l'altra con S.Teresa del Bambino Gesù; ai lati dell'altare maggiore due statue di legno: S.Giacomo Pellegrino e S.Andrea Apostolo; sul tabernacolo in marmo, poi, due statue di bronzo: S.Pietro e S.Paolo; infine sul pinnacolo un "Gesù Risorto", di pregio, che si mette solo nel periodo pasquale. In chiesa ci sono altre due statue in legno rappresentante una la "Beata Vergine del Rosario" seduta in trono (1894) e l'altra "S.Antonio da Padova" (1905). La torre campanaria a forma di parallelepipedo, che s'erge maestosa sopra la Chiesa, finendo con una corona merlata, fu costruita all'inizio del XV secolo, però nel 1897 fu ristrutturata e restaurata.

ASPETTO ARTISTICO

La villa Pasina, con la sua semplice costruzione a pianta rettangolare, riflette la caratteristica architettura veneziana del XVI secolo. II vasto parco, disseminato di alberi giganteschi con una certa simmetria, le dà un tono solenne ed elegante. Il cancello principale é ornato dallo stemma gentilizio che ci avverte della nobile abitazione. Un documento certifica la proprietà dei nobili da Lese, almeno dal 1540; prima di questa data non si ha notizia dei primi proprietari. Nella seconda metà del secolo scorso il mulino con l'abitazione annessa fu acquistato da N.H. Ottone Pasini, patrizio padovano, e poi dato in gestione e in eredità al figlio Giovanni Ottone. Allora la proprietà comprendeva 15 ettari di terreno coltivato. Giovanni Ottone Pasini e i suoi discendenti continuarono l'attività molinaria fino al 1935. Lo stemma gentilizio, che sovrasta il cancello, appartiene alla famiglia Pasini: cinque stelle d'argento in croce di S.Andrea. Un tempo lo stemma poggiava su una banda di ferro smaltato con inciso il motto della famiglia patrizia "Ubi est amor et charitas ibi Deus est". L'attuale proprietario é l'ultimo discendente del ramo della famiglia Pasini ed é per questo che l'attività oggi svolta nell'ex mulino, cioè la produzione di confetture e conserve naturali, si rifà alla tradizione di questa famiglia e vuole, almeno sul campo sentimentale, essere la continuazione dell'antichissimo artigianato molitorio. E' infatti abbastanza straordinario constatare che da più di cinque secoli si lavora dentro questa villa alla trasformazione di prodotti della terra.

Casa ex-villa Moretti, quando venne costruita nel XVII secolo, assunse caratteristiche e nome di vera villa, nome che conservò dopo l'aggiunta fatta posteriormente all'ala destra, con i porticati tipici delle case coloniche, venendo adibita ad abitazione di diverse famiglie contadine e abbandonata dal suo ricco proprietario. Nel 1720, questa villa era di proprietà del nobile Ruzzini ed in essa trovarono alloggio le famiglie degli Zanzoletto Nadal e fratello Domenico, Anzolo Tabachin e Leonardo, Bernardo Saramani. Le ultime famiglie che l'ebbero come abitazione furono quelle dei Pianta, Zanotto, Piaser, Dalla Lana e Bianchin, che poi si sistemarono con proprie abitazioni. Durante la guerra 1915-18, servì da punto di riferimento nelle carte topografiche militari, come "villa Moretti". Attualmente la villa Moretti, proprietà dei conti Persico, giace nel più completo abbandono.

L'attuale casa Moro, sita vicino alla chiesa, fu costruita nel XVI secolo. Essa presenta una sagomatura stretta e bislunga (con delle marcate aggiunte) per i balconi non lineari e, specialmente specialmente per quelle inferriate, simili a spioncini e rilevabili solo nelle costruzioni claustrali. Dalle anzi dette strutture si desume pertanto che, nell'intento dei suoi costruttori, sia servita dal principio come vero e proprio monastero o convento di religiose, dipendenti dall'abbazia di S.Daniel


di Venezia. Ciò spiega anche la vicinanza della casa Moro alla chiesa di S.Giacomo di M. Questo ex-convento risale al XVI secolo come le altre case degli affittuari, che provvedevano con l'affitto a mantenere sia il monastero che la stessa abbazia madre. E' certamente una delle più antiche case del paese che, malgrado le ristrutturazioni e le aggiunte subite nel tempo, conserva la sua particolare sagomatura architettonica, propria di quel lontano tempo e relativa ad un convento.

LA PARROCCHIALE

 

Come ci viene presentata da una fotografia scattata nel 1963 in occasione dell'elettrijicazione delle campane.


V ASCON

ASPETTO STORICO, RELIGIOSO E TOPONOMASTICO

Il nome "Vascon" può avere varie origini. Vascon può derivare da "vasca" per le acque raccoltevi, o da waso, d'onde vassallo, o da Guascone essendo "gu" uguale alla "v" nei primi documenti. Così sarebbe stato un signore della Guascogna, al tempo dei Franchi, il possessore e abitatore del castello o palazzo di Vascon, che diede vocabolo al paese. Si ricordano infatti nel 1153 Bertrando e poi Orlando (nomi Franchi) di Vascon, i quali tenevano qua i beni di Gisla da Casier e, nel 1189, Orlando investì il capitolo del Castello e delle fratte al prezzo di f. 238 malgrado si opponesse suo fratello. Poi nel 1225 il giudice Dario di Vascon fu testimone quando in S.Martino di Lupari per il B.Giovanni da Schio vennero appianate le contese dei comuni della marca trevigiana. Padrone della chiesa, prima filiale di Lancenigo, é sempre stato il Vescovo che ne fece una prebenda rappresentata nel quaderno della decima con fIO, con 25 ducati nel 1474, con f500 nel 1790 per il testatico sostituito ai quartesi, onde nel 1448 da ogni famiglia si ricevevano 1/4 di frumento, un secchio di vino, una misura di varie biade e le botti degli affitti. Ma nel 1790 il governo doveva aggiungere quanto mancasse alla somma di 100 ducati d'oro considerati valore minimo per ogni beneficio del parroco. Il titolo di S.Lucia Y.M., che predisse la fine della persecuzione e per il nome s'intese patrona della vista, può risalire a quando ne fu portato il corpo a Venezia. Nel 1488 fu ordinata la pala dell'altar maggiore per adempire ad un testamento e fu anche rinnovata nel 1621. Gli altri due altari furono eretti con i vocaboli del Crocefisso e del Rosario. Si ricorda che nel 1506 con temerario ordine furono deposti i battagli delle campane e, nel 1520, con il beneficio, fu donata una casa colonica, alla quale nel 1726 il parroco Barlese aggiungeva la casetta per il cappellano. Le croci scoperte nelle pareti, anno 1699, provano l'antica consacrazione della chiesa. Nello stesso anno si rifabbricavano questo tempio sacro e le sue statue dei S.S.Battista e Sebastiano che decoravano l'altar maggiore. Agli inizi del 1600, a Vascon, fu parroco Gian Maria Laghi procuratore del famoso abate Nervisiano Brandolini. Ecco la descrizione della chiesa di Vascon fatta da F.S. Fapanni nell'anno 1858: " La chiesa fu eretta nel XVIII secolo con la facciata e interno architettonici. La facciata riguardante sera. Bel coro, forse più vasto in proporzione del resto della chiesa. Il soffitto della chiesa rappresenta la Santissima Trinità, angeli ... Il soffitto del coro: S.Lucia in gloria. Il pavimento é in sufficiente stato. Il campanile é unito alla chiesa, posto a lato del mezzodì, vicino al coro. Termina con cupoletta, eretto nel tempo stesso della chiesa. Altar maggiore di marmo carrarese, isolato. Bel tabernacolo di marmo: ai lati due statue di pietra tenera, i S.S.Giambattista e Sebastiano. Pala sul muro: i Santi Lucia, Pietro Apostolo e Girolamo dottore. Altare di marmo a destra vicino al coro, pala di Cristo in croce, la B.Y. Maria e S.Giovanni Apostolo. Altare di marmo a sinistra del maggiore, pala della B. Y.del Rosario e i Santi Domenico e Antonio. Giambattista Tiepolo a Vascon dipinse sul soffitto della chiesa la storia di S.Lucia, lavoro che esiste". Prima dell'attuale campanile ne esisteva uno, con quattro campane, che formava tutto un corpo con la chiesa. L'antico campanile aveva la cuspide metallica e armatura lignea già bisognosa di riparazione nel 1838, e prima del 1835 furono ridotte la cella del campanile e la guglia. Nel 1887 fu riparato anche l'orologio. Durante la prima guerra mondiale, dal novembre del 1917 ali' ottobre del 1918, il campanile servì da osservatorio militare, ma cominciava a dare segni di usura diventando pericolante in direzione della chiesa. Così il 30 giugno 1923 la cuspide di zinco fu abbattuta e la torre coperta di lamiere, infine il vecchio campanile fu demolito. Il 20 febbraio 1925 si gettarono le fondamenta del nuovo campanile "indipendente" fuori dal cimitero per farlo vedere ai passanti.


Con grande impegno e sacrificio da parte dei vasconesi, il 24 agosto 1930 fu inaugurato il nuovo campanile alto 36,50 m. più la croce. L'attuale organo della chiesa fu costruito e installato nel 1910 dalla rinomata ditta Domenico Malvestio di Padova.

ASPETTO ARTISTICO

La costruzione della villa Valier Loredan, ora Perocco, risale alla seconda metà del 1600. Con la chiara struttura seicentesca dell'edificio contrasta troppo apertamente perché non debba venire considerata un'aggiunta del periodo neoclassico, la parte centrale della facciata costituita da quattro colonne ioniche al primo piano, sorgenti dal bugnato sotto stante, che inquadrano tre fori ad arco con poggioli. Un timpano, con finestrella circolare, conclude, a livello del terzo piano, questa sovrapposizione che così finisce per turbare eccessivamente la severa compostezza del fabbricato. Anche i collegamenti tra l'abitazione e le due piacevoli barchesse laterali potrebbero essere successivi. All'interno della villa si conserva uno splendido ciclo di affreschi attribuiti un tempo ad Antonio Bellucci ed ora ritenuti del veneziano Nicolò Bambini (1657-1736). Il salone affrescato presenta da un lato il "Ratto delle Sabine" e dall' altro due episodi dell 'Eneide: Enea, che riceve le armi divine, e la morte di Turno. Altri due affreschi di dimensioni minori si trovano sempre nel salone e raffigurano Apollo e Flora. In questo ciclo il Bambini, se di lui si tratta, ha lasciato una delle migliori testimonianze della sua attività pittorica per l'armonia del colore, il realismo dell'impianto architettonico e la serenità del paesaggio. La villa, ora in proprietà dei Perocco di Meduna, é meravigliosamente conservata, bianca e luminosa, in uno scenario verde e lussureggiante.

La villa dei signori veneziani Tivinelli, ex colonia agricola e ora sede della cooperativa "Alternativa", risale ai primi anni del 1700. Il suo oratorio dell'Annunziata, detto di Castelcucco (nome questo derivante dall'antico castello), risulta essere il più antico della parrocchia di Vascon. Infatti il vescovo Fortunato Morosini ricorda nel 1717 che non ci sono nel paese chiese campestri se non quella del Tivinelli. Il nobile Angelo Tivinelli era allora il proprietario della villa e del fondo. Nel 1758 proprietario era il sig. Bertoldo Fiori e mansionario don Girolamo Battistella. L'otto ottobre 1778 si legge nella relazione della visita pastorale: "Oratorio pubblico del sig. Francesco Domenico Manenti, mercante veneziano, sotto il titolo dell'Annunziata, nel comune di Vascon. Altare tutto di marmo senza croci nell'antipetto con pala dove si vede dipinto l'Arcangelo Gabriele in atto di recare il felice annunzio a Maria V., di sotto una monaca. Visitò esso altare fornito di tutto punto e ordinò la croce nell'antipetto dell'altare. Visitò dietro l'altare la sacrestia, dove andò ogni cosa a dovere. Si ha l'obbligo di tre messe la settimana, le quali si celebrano di qui innanzi da un sacerdote già stabilito per mansionario: non vi ha né reliquie né indulgenze. Manca la croce sul tetto". Un'osservazione critica su questo oratorio può far pensare a tutto il mondo religioso di un tempo. Il fondo e la villa passarono alla ditta Callegari prof. Francesco del fu Pietro il 20/10/1826. Nel 1841 nasceva a Venezia Giuseppe Callegari (1841-1906) che, fattosi prete, veniva qui a Vascon dalla zia Marianna Callegari a passare le vacanze. Giuseppe Callegari é diventato poi vescovo di Treviso nel 1880 e ha avuto come collaboratore Giuseppe Sarto, poi papa Pio X, che nel 1903 lo fece cardinale. Queste "presenze di amicizia" divennero anche per Vascon persone familiari; infatti tutti vissero con cuore e partecipazione i loro momenti religiosi nella chiesetta. Nel 1867 il vescovo Federico Zinelli scrive della "Pala del Tiepolo -di buona forma-", é certamente la pittura precedentemente descritta. Nel cambio di proprietà é facile che sia stata asportata dai proprietari oppure, come testimonia qualche paesano, sia andata in rovina per l'abbandono in soffitta. Nel 1908 risulta proprietario della villa e del fondo Mons. Olivo Luisetto, ma già nel 1923 si dice in proprietà del sig. Ettore Zanatta. In precedenza l'oratorio subì un ampliamento nella parte del presbiterio e dell'altare. Nel giorno 14 gennaio 1924 il vescovo A.G.Longhin venne in visita pastorale presso questo oratorio. Nel settembre 1931 é sorta la Colonia Agricola e il depositario del fondo fu la Provincia. Questo lascito é dovuto al


grande benefattore Cav. Ernesto Dartora (da Onigo 1858-1939) come si ricorda in una lapide all'interno della villa. I nuovi gestori furono i Padri Giuseppini e direttore il Padre Giovanni Dario; essi gestivano le scuole professionali provinciali, prima che passassero a Lancenigo, per ben 30 anni. Poi l'oratorio e la villa caddero in abbandono, dopo che la villa fu ridotta al primo piano, si dice, per pericolosità e le sue statue furono vendute alle ville vicine per mantenere in vita l'opera. Ora con l'arrivo della nuova Cooperativa "Alternativa" é ripresa la vita nella villa. L'oratorio dell' Annunziata, squallido e depauperato, risvegliò nei vicini l'antica fede e vitalità per cui riebbe in breve tempo la sua bellezza e dignità.

La villa Caccianiga, in via Antonio Caccianiga (poeta) risale ai primi del 1700, infatti la semplice ma troneggiante costruzione a pianta rettangolare rispecchia le strutture geometriche tipiche dell' architettura di quel periodo. Questa villa fu costruita sulle rovine di un monastero di monaci, e difatti, qualche anno fa, sradicando alcune piante del parco, vennero alla luce un pezzo di mura, grandi sassi, mattoni; inoltre, la tradizione dice che le colonne presenti in garage sono quelle del chiostro. Questo monastero, eretto prima del Mille, dipendeva da quello di Monastier; per di più si dice che da codesto convento un sotterraneo portava direttamente alla chiesa della Madonna della neve a Varago. I primi proprietari della villa furono i nobili veneziani Gradenigo che poi l'hanno venduta al sig. Ernesto Caccianiga agli inizi del secolo scorso. Un tempo la villa possedeva una cappella privata interna il cui altare (in stile barocco), dedicato alla Beata Maria Vergine, fu gentilmente donato alla chiesa di Vascon, ora però non esiste perché é andato distrutto. All'interno la villa é ornata con stucchi alla veneziana e con varie decorazioni. Il collegamento tra l'abitazione e il piacevole porticato é successivo alla costruzione del fabbricato dominicale, infatti sono due edifici con strutture architettoniche diverse. Ora la villa é splendidamente conservata in un meraviglioso parco.

Zoldan, ex-villa della contessa Monterumigi, in stile veneziano, risale alla prima metà del Settecento e fu restaurata nel 1857. Questa villa fu comperata dalla fam. Zoldan nel 1922. I pavimenti sono di tipo veneziano mentre il poggiolo é costituito da marmo d'Istria. Un tempo era circondata da un bellissimo giardino arricchito da opere scultoree in pietra (ora vendute) e da un vasto parco ormai trasformato in terreno coltivabile.

La villa Bragadin, ora Ruberti, fu costruita agli inizi del Settecento.

ASPETTO TOPONOMASTICO E LA SCOMPARSA DEI SOPRANNOMI

L'usanza che fino a pochi anni orsono creava una vera e propria confusione nella nostra società, specie rurale, era quella di affibbiare alle famiglie dei nomignoli e vari soprannomi, per distinguere lo stesso cognome o per mettere in evidenza caratteristiche somatiche, fisiche, sociali o personali del capo famiglia, come per esempio: Fini cei, Fini grandi, Stentarelli, Pagnocconi, Castrini. Così avveniva che nei nostri paesi il vero nome delle famiglie scompariva, per restare solo negli atti anagrafico-amministrativi e nella corrispondenza. Un tempo, un portalettere che non fosse del luogo, prima di orientarsi nella distribuzione della posta, doveva faticare molto, non solo perché inesperto, ma anche perché i compaesani non conoscevano il vero cognome del destinatario. Come si sa l'uso dei soprannomi ha dato origine ai nostri cognomi. Presso i Romani il cognome era il nome di famiglia originato per lo più dal soprannome, mentre il praenomen era il nome di persona ed il nomen era il nome della gens, gruppo di famiglia derivante da un medesimo stipite. Durante il basso impero i soprannomi sovrabbondarono, creando così un vero caos durante le invasioni barbariche. Ma dopo il Mille cominciò a radicarsi in Italia ed in altri paesi civili l'uso di designare le famiglie soltanto con i soprannomi dei capofamiglia; soprannomi nati per designazione popolare da qualche particolarità fisica o morale, buona o cattiva, così si ebbero i Forti, i Bassi, i Baldi, i Calvi, oppure dalla professione esercitata come i Barbieri, i Ferrai, i Sarti, i Marangoni .... , oppure derivanti dai nomi delle terre o di città d'origine come i Visentin, i Padovan, i Trevisan, i Romagnol.... Nei secoli


successivi, l'uso dei cognomi, così fonnulati, si generalizzò e si disciplinò, finché fu consacrato nei censimenti, costituendo con i nomi propri di persona un sistema perfetto di identificazione delle famiglie e dei singoli cittadini. Questa identificazione però riguarda solo atti anagrafi ci ed ufficiali, perché la pessima abitudine di appellare e di distinguere le famiglie, il più delle volte, con un difetto riflettente una parte fisica o morale del capofamiglia, nel senso vero e proprio dispregiativo, durerà fino ai nostri giorni. Infatti una volta molte delle nostre famiglie avevano due cognomi, e di solito venivano chiamate col secondo e ancora adesso si continua così nel gergo popolare. Per esempio, nel nostro comune, Fava detto Faon, Cenedese detto Bagnol, Piovesan detto Bastianello, Dotto detto Biso, De Tuoni detto Pevariol, Mattiuzzo detto Cibi n, Beni detto Baron, Andreuzza detto Isotto, Marchi detto Teso, Gasparinotto detto Boscariol, Cescon detto Corona, Pavanello detto Bicchio, Minello detto Teoro, Girotto detto Biraeto ..... Oggi il fattore progresso, rivoluzionando tutti i settori della nostra vita, ha inferto un colpo mortale anche a questa usanza. Così le nuove generazioni, per un'etica e per una più completa educazione sociale, si conoscono esclusivamente per nome e cognome. Inoltre i frequenti spostamenti da un paese all'altro e le soventi immigrazioni fanno sì che il nuovo arrivato venga conosciuto con il suo vero cognome e che i poco graditi epiteti e nomignoli siano lasciati nel vecchio paese di provenienza. E' questo un fatto positivo per le nostre campagne e per una convivenza più rispettosa, più educata e più consona ai tempi attuali.

ASPETTO SOCIALE

Insieme con altri molteplici fattori, anche l'edilizia ha contribuito ad allontanare gli agricoltori dalla terra. Il bracciantato ha sostituito fittavoli e mezzadri. Molti contadini con la buonuscita si sono costruiti la casa ed hanno avuto un po' di terreno. Ovviamente é morto anche tutto il piccolo artigianato che viveva come ausiliario di quel tipo di agricoltura fatta a forza di braccia e animali. Oggi é scomparsa la figura della vecchia famiglia agricola, chiusa in se stessa, refrattaria a novità, avulsa dall'istruzione ... etc. Soltanto i padri e i nonni fanno i contadini, mentre i figli maschi e femmine frequentano le scuole, lavorano in fabbrica o hanno altri impieghi. Oggi i cittadini del nostro Comune sono occupati in tutte le arti e in tutte le professioni. Dagli anni Settanta in poi, la maggior parte della gioventù non si fenna dopo le medie inferiori, ma continua gli studi nelle medie superiori e all'università. Così le nostre famiglie possiamo chiamarle "composite", perché i membri esercitano varie attività; pertanto in casa si parla di vari argomenti: di politica, di religione, di scuola, di cultura, di sport ..... Allora é evidente che, con l'abbandono graduale della terra, con l'immigrazione delle famiglie provenienti da ogni parte e da ogni categoria sociale, con l'evasione dalla casa propria, si é trasfonnato il clima sociale e religioso del comune di Carbonera.

ASPETTO EDILIZIO-URBANISTICO

Le frazioni del comune di Carbonera hanno avuto negli ultimi anni un forte sviluppo e ingrandimento, con un costante aumento della popolazione. Così a Carbonera, soprattutto negli anni 1971-81, ha avuto inizio il fenomeno delle costruzioni edilizie ad uso abitazione. Sono sorte case nuove e numerosi appartamenti all'interno delle varie lottizzazioni sparse in tutto il territorio del nostro comune. Infatti a Carbonera, Mignagola, S.Giacomo, Pezzan e Vascon, l'aumentata popolazione e l'esigenza di abitazioni per ogni nucleo familiare, anche di due sole persone, oggi comportano la costruzione di condomini, di complessi edifici in "zone di residenza". Così questi nuovi appartamenti di recente costruzione aggiungono altri abitanti al paese dando gli un volto più urbano. La caratteristica di maggior rilievo, riguardo lo sviluppo edilizio-urbanistico dei nostri paesi, é quella di essersi estesi seguendo il ciglio stradale, questo fino a quando la pratica della lottizzazione ha portato lo sfruttamento del suolo anche perpendicolannente alle sedi stradali, senza peraltro che si discostasse dalla tipologia della "casetta isolata con accesso dalla strada". Questa caratteristica, che


un aspetto più urbano al paese, si nota maggionnente nel capoluogo Carbonera, a Biban e Mignagola.

ASPETTO CULTURALE

Anche nel comune di Carbonera nacquero o vissero personaggi storici importanti dal punto di vista culturale.

TENTORI DON CRISTOFORO era nato a Venezia nel 1738 da una famiglia oriunda di Camposanpiero, ed intraprese la professione di letterato. Egli fu ospite di casa Tiepolo a Carbonera. E' autore delle seguenti opere: "Della legislazione Veneta sulla Preservazione della Laguna" é una dissertazione storico-filosofico-critica (Edizione Venezia 1792); "Raccolta cronologica ragionata di documenti inediti" che fonnano la storia diplomatica della Rivoluzione e caduta della Repubblica di Venezia, corredata da critiche osservazioni (Edizione Augusta 1799). Infine scrisse "Il vero carattere politico di Baiamonte Tiepolo" e un "Saggio sulla Storia degli Stati della Repubblica di Venezia". Tentori don Cristoforo, ex-gesuita spagnolo, morì il 2 ottobre 1&10 a Carbonera all'età di 72 anni e venne sepolto nel cimitero del paese.

JACOPO BORTOLAN di Carbonera (1785-1842) é famoso per aver introdotto, per primo in Italia, il rame in lastre sottili. Inoltre é importante ricordarlo perché per primo aprì a Treviso le scuole elementari e divenne ispettore scolastico sotto il governo austriaco.

MORETTO AUGUSTO era un capo muratore, ma anche studioso. Mentre era obbligato a rimanere a letto per una lunga malattia polmonare, scrisse con qualche pregio un romanzo storico nel 1881 dal titolo: "Gilda, o l'assedio di Treviso" illustrando le memorie del castello di Carbonera. Morì il 19 dicembre 1 && l all'età di 2& anni.

SINTESI CRONOLOGICA DEL COMUNE DI CARBONERA

1307         - Nella Pieve di Lancenigo: regole di Carbonera, Castello di Carbonera, Vasco e Bibano.

Nella Pieve di Varago: regole di Musestrelle e di S.Giacomo.

1744       - Nella Zosagna di Sopra: Villa di Carbonera, Castello di Carbonera, Pezzan, Mignagola,

Vascon, S.Giacomo di Musestrelle.

1807        - Nel distretto e cantone di Treviso: comuni di Pezzan, Carbonera e Vascon.

1 & 15      - In comune di Treviso

1/5/1816 - Comune di Carbonera (fondazione).

N.B. Fino a qualche decennio addietro ebbe pieno valore la secolare divisione del territorio trevigiano che contrapponeva la città murata alla campagna circostante ed alle "frazioni". Dal nome delle chiese del territorio circostante si erano denominati fin dal primo Medioevo i nuovi centri abitati "Cappella" prima "Parrocchia" poi nell'ordinamento ecclesiastico, "Regole" in quello del Comune Medioevale, "Villa delle cerchie" nel periodo Veneziano. Tali località gli austriaci dissero "azioni" nome che passò poi nell'ordinamento italiano. Attualmente vige la distinzione legale tra "frazioni geografiche" e "frazioni amministrative", entità territoriali le une e le altre con particolari; effetti; successe nel diritto positivo, in sostituzione delle frazioni note puramente come entità tradizionali e storiche.

FONTI: AA.VV.